Riscossione forzosa del credito: esonero e prescrittibilità dei crediti condominiali

Ai sensi del IX comma art. 1129, così come ribadito dal I comma art. 63 disp. att. c.c., l’amministratore deve agire d’ufficio, senza necessità del consenso assembleare ed entro 6 mesi dal termine dell’esercizio in cui il credito esigibile è compreso, per la riscossione forzosa del credito nei confronti dei condomini morosi, attraverso decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo.
Tale strumento è così chiamato perché consente di aggredire immediatamente il patrimonio del moroso, anche in caso di
ricorso opposto da quest’ultimo.
Il destinatario del decreto ingiuntivo potrà farvi ricorso entro 40 giorni
dalla notificazione, potendo far valere, ai fini dell’opposizione, soltanto ragioni
relative alla nullità della delibera di approvazione del bilancio consuntivo o preventivo e del
piano di ripartizione allegato.
La giurisprudenza ritiene separati il giudizio oppositorio e giudizio demolitorio, quindi il moroso potrà appellarsi alla nullità della delibera anche senza averla preventivamente impugnata.
In caso di approvazione della ripartizione delle spese annullabile, il vizio sarà ammesso solo se non sono decorsi i 30 giorni entro i quali sarà possibile promuovere impugnativa.
Ovviamente, per
poter procedere alla riscossione forzosa del credito, è necessaria la presenza
di un titolo che certifichi
l’esistenza del credito stesso, per cui sarà propedeutica l’approvazione del bilancio,
ossia dei preventivi e consuntivi di spesa e, più specificatamente, dei piani di ripartizione spese ad essi
allegati.
Proprio per questo, entro 180 giorni dal termine dell’esercizio, è necessario convocare l’assemblea per l’approvazione del rendiconto annuale di gestione, così da possedere il titolo atto alla riscossione dei conguagli dell’anno precedente entro 6 mesi dal termine dell’esercizio in cui il credito è compreso.
Per quanto riguarda le quote dell’esercizio in corso, l’amministratore potrà avvalersi del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo fino al fino al 180° giorno dell’esercizio successivo.
Ad esempio, quindi, se l’anno solare dovesse coincidere con quello contabile, il termine per avvalersi del decreto immediatamente esecutivo per riscuotere i conguagli dell'esercizio precedente scaduti è il 30/6 dell’anno in corso, mentre per le quote ordinarie insolute tale termine coinciderà con il 30/6 dell’anno solare successivo.
Decorsi i 6 mesi prescritti dalla legge, l’amministratore,
per la riscossione dei crediti, non potrà più avvalersi dello strumento
del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, dovendo quindi
ripiegare sul decreto ingiuntivo classico, che prevede tempi di esecuzione più
lunghi ed è meno efficace.
Il mancato utilizzo del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo costituisce
errore professionale e potrebbe portare l’amministratore ad essere accusato di
aver gestito non diligentemente la pratica di riscossione, con relative richiesta di risarcimento avanzate dai
condomini virtuosi nei suoi confronti (solitamente,
in tal caso, salvo malafede, interviene l’assicurazione professionale).
Tra l’altro, se l’amministratore non dovesse tentare la riscossione in alcun
modo, tale inadempimento costituirà uno degli illeciti specifici suscettibili
di revoca giudiziaria (art. 1129 XII
comma c.c.).
Ai sensi
della Sentenza
di Cassazione n. 11981 del 5 novembre 1992 la prescrizione del credito nei confronti
di ciascun condomino decorre dalla data di assunzione della delibera che
approva il piano di ripartizione delle spese allegato a consuntivi e preventivi.
Proprio per
questo, nonostante la Sentenza di Cassazione n. 4489 del 25 febbraio 2014 individui in 5 anni il termine di prescrizione per le spese ordinarie e in 10 anni
quello per le spese straordinarie, essendo l’amministratore, di anno in
anno, obbligato a convocare l’assemblea per l’approvazione del rendiconto e dei
relativi piani di riparto, che conterranno le situazioni contabili dei singoli
partecipanti aggiornandone i debiti pregressi di anno in anno, il
termine di prescrizione delle quote condominiali si rinnoverà annualmente con
l’approvazione dei rendiconti, con la conseguenza che i saldi dovuti dai condòmini,
incluse le vecchie morosità, si cristallizzeranno nel tempo, diventando
esigibili senza scadenze.
E se il condòmino è in situazione economiche precarie e non ha le risorse necessarie ad estinguere il suo debito? In tal caso, l’amministratore non può deliberatamente
aiutare il moroso, poiché la legge, se non vi è una dispensa assembleare, impone
a tale organo di procedere sempre alla riscossione del credito, anche forzosamente.
L’unica soluzione che il condomino può adottare è spiegare in assemblea agli
altri partecipanti al condominio la propria situazione, in modo tale da
ottenere una dilazione delle rate condominiali con proproga delle scadenze
oltre i sei mesi, con la formulazione di un piano di rientro ad hoc.
In tal caso,
nonostante la dilazione concessa, ovviamente l’amministratore di condominio non
sarà assolutamente dispensato dal recupero coatto qualora il moroso non
rispetti gli impegni presi con l’assemblea.
Per approvare una vera e propria dispensazione,
così come per approvare un piano di rientro, è sufficiente una delibera assunta dalla maggioranza
degli intervenuti che rappresentino 1/3 del valore dell’edificio.
Bene sarebbe specificare sul verbale che anche il non pagamento di una sola
rata comporterà la decadenza del beneficio concesso e che il documento venga
controfirmato dal moroso.
Proprio in virtù di quanto enunciato, vista la non prescrittibilità del credito, sarebbe auspicabile che l'amministratore analizzasse ai condòmini le situazioni relative a morosità consolidate ogni qualvolta ci sia un'assemblea ordinaria, al fine di ottenere dai condòmini indicazioni su come comportarsi.
Agendo in maniera perentoria, qualora il capo condomino riesca ad operare nei termini di legge, potrà valutare caso per caso quando far partire le ingiunzioni di pagamento immediatamente esecutive, oppure quando attendere in virtù di altre disposizioni decise dall'assemblea.
La costituzione di un fondo cassa speciale, rivolto a fare fronte alle morosità di alcuni condomini, sarebbe possibile soltanto con l'unanimità di tutti i partecipanti al condominio (Trib. Milano sentenza del 18.09.2017).