Il perimento dell'edificio

Per “perimento del condominio” si intende la distruzione, totale o parziale, dell’edificio, dovuta a cause indipendenti dalla volontà dei singoli condòmini.
Può capitare infatti che, a seguito di avvenimenti naturali o accidentali (come ad esempio terremoti, incendi, crolli),
l’edificio condominiale venga interamente o parzialmente distrutto.
L'art. 1128 c.c. disciplina specificatamente la
fattispecie del perimento.
La legge prevede
due ipotesi in cui si può parlare, da un punto di vista giuridico, di perimento
dell’edificio condominiale, e cioè quando a essere distrutto è:
• l’intero
fabbricato o almeno 3/4 di esso;
• il
fabbricato in misura inferiore ai 3/4 di esso.
In seguito
al perimento totale o di una parte che rappresenti i 3/4 dello
stabile, il condominio si estingue automaticamente e gli ex
condòmini diventano comproprietari del suolo.
In tale
ipotesi, ciascun condomino può scegliere se:
- approvare la delibera di ricostruzione;
- richiedere la vendita all’asta del
suolo o dei materiali.
Per quanto
riguarda la sorte dell’edificio ricostruito occorre distinguere:
- se il fabbricato viene ricostruito in maniera
conforme a quello preesistente, il condominio si ripristina e i diritti di ciascun condomino
sull’edificio rimangono identici a quelli esistenti prima della
distruzione;
- se la ricostruzione viene eseguita in maniera
difforme alla struttura originaria, il condominio non rinasce e
quanto edificato costituisce un’opera realizzata su suolo comune,
come tale soggetta alla disciplina dell’accessione. Ciò significa che l’edificio
costruito dal comproprietario sul suolo comune, anche senza il consenso
degli altri, diviene comunque di proprietà di tutti.
Ci si domanda
con quale maggioranza andrebbe assunta la delibera di ricostruzione, dato che è
presente un vuoto normativo a riguardo.
A tal proposito si raggruppano due correnti giurisprudenziali:
- unanimità;
- delibera a maggioranza;
A nostro
avviso, la corrente giurisprudenziale che vorrebbe il consenso totale dei
vecchi partecipanti premierebbe troppo il singolo dissenziente, rispetto a chi
vorrebbe ricostruire.
Pertanto, ci sentiamo di dirci concordi con l’orientamento che accorda
prevalenza alla volontà dei condòmino che intendono ricostruire.
Questo poiché, ai sensi del IV comma dell’art. 1128 c.c., il condòmino che non intende partecipare
alla ricostruzione dell’edificio è tenuto a cedere agli altri condòmini (o solo
a una parte di essi) i suoi diritti - anche sulle parti di proprietà esclusiva
- secondo la stima che ne sarà fatta.
Pertanto, il
diritto del dissenziente a non partecipare alla ricostruzione collima con la
possibilità di cedere i suoi diritti e d’incassare, relativamente, una
soddisfacente somma di denaro.
Quindi, a chi non interesserà partecipare alla ricostruzione, basterà cedere le
sue quote, incassare relativo denaro e lasciare il condominio. Così, chi vorrà
ricostruire, non avrà alcun tipo di ostacolo.
Si specifica che il rifiuto del condomino deve manifestarsi o nella richiesta di vendita all’asta del suolo o in un’esplicita opposizione a ricostruire l’edificio.
Per questo,
secondo giurisprudenza consolidata, la delibera che stabilisca la
ricostruzione dell’edificio deve essere adottata con un numero di voti che
rappresenti la maggioranza degli intervenuti
ed almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136, 2° co., c.c.).
L’assemblea può deliberare soltanto la ricostruzione delle parti comuni ma non il rifacimento dei singoli piani,
inerendo quest’ultimo alla sfera individuale di ciascun condòmino, salvo che la
sua mancata realizzazione impedisca la ricostruzione delle stesse parti comuni.
Il condòmino, dal canto suo, non è
obbligato a ricostruire la propria unità immobiliare, salvo che ciò si
renda indispensabile al fine della ricostruzione di parti comuni dell’edificio.
In caso di conflitto, tanto varrà cedere i suoi diritti come sopra riportato.
Per essere valida la cessione deve avvenire tramite atto scritto (scrittura privata, atto pubblico o sentenza costitutiva).
Nel caso di perimento di una parte inferiore ai 3/4 del valore dell’edificio, il condominio non viene sciolto, e la maggioranza dei condòmini può decidere se ricostruire o meno lo stabile condominiale, approvando una delibera con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio integro.
Generalmente,
se l’entità del danno è modesta, il condominio provvede alla ricostruzione
delle parti comuni, mentre i singoli condòmini eseguono la ricostruzione delle
parti di proprietà esclusiva; diversamente, se il danno è notevole, è
l’assemblea a decidere modi e tempi di ricostruzione.
Le somme riscosse a
titolo d’indennità di assicurazione relative alle parti comuni devono essere
impiegate esclusivamente per la ricostruzione di queste.
In ogni caso, la possibilità di
riportare lo stabile condominiale alle condizioni originarie è presupposto
indispensabile per poter deliberarne la ricostruzione.
Nel caso in
cui l’assemblea non deliberi la ricostruzione delle parti comuni o addirittura
approvi una delibera contraria, i
singoli condòmini possono comunque provvedere autonomamente alla ricostruzione
del proprio appartamento e delle parti comuni, purché rispettino le
preesistenti caratteristiche dell’edificio.