La durata dell'incarico dell'amministratore

 

Il Codice Civile, all’art. 1129 X comma, prescrive che la carica di amministratore dura un anno, rinnovandosi alla sua scadenza per termine di egual durata.
Sul significato di tale norma si sono scatenate varie correnti interpretative.

La Corte di Cassazione, II sezione civile, con sentenza 26 maggio 2025, n. 14039, ha fatto definitivamente chiarezza su una questione interpretativa molto controversa tra gli interpreti ma anche nei vari Tribunali, enunciando il seguente principio di diritto: ‘’in tema di condominio degli edifici, l’incarico dell’amministratore di condominio cessa automaticamente decorso il secondo anno, senza che occorra, cioè, una decisione dell’assemblea’’.

Questa pronuncia dovrebbe mettere a tacere la guerra interpretativa legata alla dicitura ‘’termine di egual durata’’, che aveva scatenato varie incomprensioni fra chi sponsorizzava una durata biennale dell’incarico e chi, addirittura, ritieneva che l’incarico dell’amministratore si rinnovasse sempre tacitamente di anno in anno, quasi come fosse un contratto di locazione.

Questa interpretazione presuppone due particolarità:
nessuna ridiscussione della conferma al termine del primo biennio di mandato, con il professionista non tenuto ad inserire all'odg tale argomento di discussione in assemblea;
- inevitabile entrata nel regime di prorogatio imperii della carica prima dell'assemblea in cui verrà discussa la conferma.

Seguendo questa corrente interpretativa dovranno essere i condòmini a richiedere la revoca dell’amministratore, obbligandolo ad uno specifico odg tramite richiesta formale proveniente da almeno 2 partecipanti che rappresentino 1/6 del valore millesimale dell’edificio.
Inoltre, in caso di illeciti di fiscali, gestione poco trasparente e manco utilizzo del c/c condominiale, la richiesta può essere perpetrata anche dal singolo condomino. Se tali casi non si dovessero verificare,
la richiesta del singolo condomino di aggiungere tale argomento all’ordine del giorno non può essere reiteratamente rifiutata, pena la possibile revoca giudiziaria.

In concreto, tale teoria farebbe leva sulle varie concessioni aperte dal Codice Civile nei confronti dei condòmini riguardo la possibilità di richiedere la convocazione di un’assemblea con specifico odg.
Da un punto di vista legale l'assunto non presenta specifiche pecche, me resta molto machiavellico e ci pare abbastanza fantasioso, nonché al limite del dittatoriale.

Invece, la Cassazione fa salva la dimensione annuale della gestione condominiale e, allo stesso tempo, richiede che, alla scadenza della ulteriore proroga annuale, l’assemblea deve deliberare, espressamente, un nuovo incarico all’amministratore, il quale, nel frattempo, è da intendersi in regime di prorogatio, cioè, egli è privato dei poteri contemplati dall’art. 1130 c.c., ad eccezione delle «attività urgenti», ma, dall’altro lato, non è più tenuto ad assolvere i doveri e sostenere le responsabilità previsti dall’art. 1129, comma 12 cod. civ..

In assise si aprirebbero tre scenari:

1) l’assemblea potrebbe votare favorevolmente per la conferma dell’amministratore in carica.
Il rinnovo dell’incarico equivale ad una nuova nomina, per cui è richiesto sempre il quorum deliberativo prescritto al
 IV comma art. 1136, nonché la comunicazione dei dati prescritti dall’art. 1129 II comma.
Una volta rinominato, l’amministratore resterà in carica per un anno, con rinnovo automatico del mandato per ulteriori 365 giorni. Passati di nuovo due anni, egli dovrà nuovamente sottoporsi al giudizio dell’assemblea, poiché sarà entrato in regime di prorogatio;
2) l’assemblea potrebbe decidere di non confermare l’amministratore.
Tale provvedimento è assimilabile alla revoca, per cui sarà sempre richiesto il quorum prescritto dall’
art. 1136 IV comma. Contestualmente, si provvederà alla nomina di un nuovo amministratore, la cui carica durerà sempre un anno, con rinnovo automatico per un ulteriore anno a seguito della scadenza e obbligo di inserire la conferma all’odg solo al termine del secondo anno;
3) in caso di assenza di quorum costitutivo o deliberativi, sarà necessario rimandare la discussione relativa alla conferma alla prossima assemblea utile, con l’amministratore che conserverà la propria carica ancora in regime in regime di prorogatio imperii.

La ratio della legge dovrebbe essere quella di voler tutelare il condominio dall'avere un'amministrazione ''zoppa''. 
Per spiegare meglio la questione, facciamo un esempio: 
- Tizio viene nominato amministratore ad ottobre 2023;
- Sicuramente resterà in carica un anno (il primo anno di mandato non è in discussione, indipendentemente dall'interpretazione che vogliamo dare alla norma del rinnovo), quindi con pieni poteri fino ad ottobre 2024;
- Ora: ad ottobre 2024 è improbabilissimo che Tizio sia in grado di convocare assemblea ordinaria, poiché l'esercizio si deve ancora chiudere. Tizio, per tornare in assemblea, avrà bisogno ancora di qualche mese per chiudere il rendiconto. 
Allora, il legislatore si è posto il problema di evitare che Tizio finisse in prorogatio per quei mesi, inserendo appunto la dicitura ''s'intende rinnovato per termine di egual durata''.
Il Codice Civile non fa altro che mettere una pezza, affinché Tizio possa rimanere in carica con pieni poteri fino, sulla carta fino ad ottobre 2025, quantomeno certamente fino alla prossima assemblea.

A questa interpretazione giuridica, in quanto professionisti e lavoratori, vorremmo integrare delle soluzioni a problemi pratici, che ci portano a dichiarare che sarebbe meglio ottenere una conferma dall'assemblea.
Il ''s'intende'' lascia appunto pensare ad un tacito consenso, che ha delle basi di opportunità cronologica che abbiamo già sviscerato. 
Però, appare ovvio che il consenso possa essere tacito finché non c'è l'opportunità di discutere dell'argomento. Nel momento in cui viene convocata l'assemblea, sarebbe buona norma rafforzare questo consenso tacito e renderlo espressoinserendo l'argomento all'ordine del giorno.
Perché? Al fine di evitare la vituperata prorogatio da ottobre 2025, ovvero una situazione in cui l'amministratore è cessato e attende la sua sostituzione, senza diritto al compenso e con qualche potere in meno.

Con questa prassi, si dà possibilità all’assemblea, discutendo riguardo apposito argomento all’ordine del giorno, di decidere o meno riguardo il rinnovo dell’incarico, oppure della sua cessazione.
In questo modo, ciò che prima era tacito diventa espresso. Il che si traduce anche in un esercizio di democrazia, nel rispetto delle attribuzioni dell'assemblea ai sensi dell'art. 1135, che dispone che la stessa decida anche in merito alla ''conferma dell'amministratore''.

Alcuni detrattori della corrente interpretativa sopra enunciata avanzano lo spauracchio del diritto al risarcimento che ipoteticamente potrebbe richiedere l'amministratore non riconfermato per il secondo anno, in forza di un presunto pregiudizio economico provocato dalla decisione dell'assemblea.
Chiariamo che il risarcimento andrebbe ammesso solo ove da elementi obiettivi si dovesse poter concludere che il mancato rinnovo abbia prodotto dei danni in capo all' ex amministratore attribuibili al condominio, ovvero se emergesse che l'amministratore sia stato indotto a confidare nel rinnovo e per questo abbia sostenuto delle spese, che non avrebbe altrimenti sostenuto.
In assenza di tali prove, non ci sono gli estremi riconoscere de plano un diritto al recupero del compenso per una semplice revoca prematura.
Se così non fosse, non avrebbe avuto senso aver distinto i due periodi: quello del primo anno e quello del secondo oggetto di rinnovo automatico.
In ogni caso, a scanso di equivoci, è consigliabile che nel verbale assembleare di mancata riconferma i condòmini mettano a verbale le proprie motivazioni.

Se si attendesse il secondo per discutere della riconferma, inevitabilmente, ci sarebbe il rischio di giungere alla prorogatio. Caratteristica della prorogatio è l'impossibilità di ricevere compenso. Perché un amministratore dovrebbe lavorare gratis - in quanto cessato - per tutto il periodo che intercorre tra la scadenza e l'assemblea successiva? Non sarebbe più logico farsi confermare l'anno prima, quando si è ancora in piena carica?

Quello di non discutere della conferma dopo il primo anno di nomina appare più come un escamotage per guadagnarsi un anno in più di mandato certo, a discapito di un'eventuale mancanza di fiducia. Una furba strumentalizzazione di una norma poco chiara.
Magari condita dal tentativo di mettere a conto del condominio anche il periodo in cui si presta l'attività in proroga dei poteri, per guadagnare il massimo e oltre.

Relativamente alla conferma dell’amministratore, è fondamentale che venga sempre analiticamente indicato il compenso dovuto al professionista. Senza indicazione del compenso, la delibera di conferma sarà nulla.
Non è ammesso verbalizzare formule come ‘’al compenso dell’anno scorso’’, l’offerta economica andrebbe sempre allegata al verbale e il compenso dovrebbe rispettare il criterio di analiticità.

Si specifica che, secondo la Cass., II, sent, 29 maggio 2025, n. 14428, non impedisce alle parti del contratto di amministrazione condominiale di determinare la remunerazione non prestazione per prestazione, ma secondo un sistema globale, e cioè per tutte le attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 Codice civile e in relazione alla durata annuale ex lege o all’eguale durata del rinnovo dell’incarico.

Nessun regolamento condominiale, anche se contrattuale, può derogare a quanto prescritto dal Codice Civile sul tema della durata dell’incarico. L’art. 1129, nella sua interezza, resta inderogabile.
Pertanto sono irrimediabilmente nulle fantasiose durate della carica inferiori all’anno (es: ‘l’amministratore decade automaticamente alla prima assemblea ordinaria, anche se non si è ancora compiuto l’anno di mandato’’ o pluriennali.