La durata dell'incarico dell'amministratore

Il Codice
Civile, all’art.
1129 X comma, prescrive che la carica di amministratore dura
un anno, rinnovandosi alla sua scadenza per termine di egual durata.
Sul significato di tale norma si sono scatenate varie correnti
interpretative.
1) L’orientamento giurisprudenziale
maggioritario ritiene che la carica di amministratore duri un anno, con possibilità di rinnovo dell'incarico per un termine di egual durata.
Al termine dell’ultimo esercizio chiuso, l’amministratore pro
tempore resterà in carica nella pienezza delle sue funzioni quantomeno fino alla prima assemblea ordinaria utile, che sarà costretto a convocare entro 180 giorni
dal termine dell’esercizio al fine di consentire l'approvazione del rendiconto annuale di gestione, così come prescritto dall'art. 1130 c.c..
Si viene a creare una condizione totalmente diversa ed opposta rispetto alla prorogatio imperii, che, per contro, si riferisce ad uno specifico periodo in cui l'amministratore resta in carica al fine di non creare un vuoto amministrativo, soprattutto in compagini dove la presenza di un amministratore è obbligatoria per legge ai sensi dell'art. 1129 c.c..
[qui per saperne di più sulla prorogatio: https://amministrazionipetrelligarau.blogspot.com/2025/02/la-prorogatio-imperii.html]
Fondamentalmente, secondo la corrente giurisprudenziale maggioritaria, al termine del primo anno d'incarico la carica di amministratore è sottoposta a un tacito rinnovo automatico, che può durare per un ulteriore anno, salvo espressa volontà di revoca da parte dell'assemblea.
Pertanto sì, l'incarico in totale può arrivare a due anni di durata totale del mandato a seguito della prima nomina, ma tale termine non è del tutto obbligatorio, in quanto si rimanda il tutto alla volontà dell'assemblea.
La ratio della legge dovrebbe essere quella di voler tutelare il condominio dall'avere un'amministrazione ''zoppa''.
Per spiegare meglio la questione, facciamo un esempio:
- Tizio viene nominato amministratore ad ottobre 2023;
- Sicuramente resterà in carica un anno (il primo anno di mandato non è in discussione, indipendentemente dall'interpretazione che vogliamo dare alla norma del rinnovo), quindi con pieni poteri fino ad ottobre 2024;
- Ora: ad ottobre 2024 è improbabilissimo che Tizio sia in grado di convocare assemblea ordinaria, poiché l'esercizio si deve ancora chiudere. Tizio, per tornare in assemblea, avrà bisogno ancora di qualche mese per chiudere il rendiconto.
Pertanto, il legislatore si è posto il problema di evitare che Tizio finisse in prorogatio per quei sopracitati mesi, inserendo appunto la dicitura ''s'intende rinnovato per termine di egual durata''.
Il Codice Civile non fa altro che mettere una pezza, affinché Tizio possa rimanere in carica con pieni poteri. Per quanto? Sulla carta fino ad ottobre 2025, certamente fino alla prossima assemblea.
Discusso del problema giuridico, ora parliamo di problemi pratici, per cui sarebbe meglio ottenere una riconferma dall'assemblea.
Il ''s'intende'' lascia appunto pensare ad un tacito consenso, che ha delle basi di opportunità cronologica che abbiamo già sviscerato.
Però, appare ovvio che il consenso possa essere tacito finché non c'è l'opportunità di discutere sull'argomento. Nel momento in cui viene convocata una nuova assemblea, sarebbe buona norma rafforzare questo consenso tacito, inserendo l'argomento all'ordine del giorno.
Perché? Al fine di evitare la vituperata prorogatio (che, nell'esempio, partirebbe da novembre 2025), ovvero una situazione in cui l'amministratore è cessato e attende la sua possibile sostituzione, senza diritto al compenso e con qualche piccolo potere in meno.
Con questa prassi, si dà possibilità all’assemblea, discutendo riguardo apposito argomento all’ordine
del giorno, di decidere riguardo il rinnovo dell'incarico, oppure della
sua cessazione.
In questo modo, ciò che prima era tacito diventa espresso. Il che si traduce anche in un esercizio di democrazia, nel rispetto delle attribuzioni dell'assemblea ai sensi dell'art. 1135, che dispone che la stessa decida anche in merito alla ''conferma dell'amministratore''.
Alcuni detrattori della corrente interpretativa sopra enunciata avanzano lo spauracchio del diritto al risarcimento che ipoteticamente potrebbe richiedere l'amministratore non riconfermato per il secondo anno, in forza di un presunto pregiudizio economico provocato dalla decisione dell'assemblea.
Chiariamo che il risarcimento andrebbe ammesso solo ove da elementi obiettivi si dovesse poter concludere che il mancato rinnovo abbia prodotto dei danni in capo all' ex amministratore attribuibili al condominio, ovvero se emergesse che l'amministratore sia stato indotto a confidare nel rinnovo e per questo abbia sostenuto delle spese, che non avrebbe altrimenti sostenuto.
In assenza di tali prove, non ci sono gli estremi riconoscere de plano un diritto al recupero del compenso per una semplice revoca prematura.
Se così non fosse, non avrebbe avuto senso aver distinto i due periodi: quello del primo anno e quello del secondo oggetto di rinnovo automatico.
In ogni caso, a scanso di equivoci, è consigliabile che nel verbale assembleare di mancata riconferma i condòmini mettano a verbale le proprie motivazioni;
2) Esiste un altro orientamento giurisprudenziale molto più integralista del precedente ed effettivamente minoritario, che ritiene che la carica di amministratore duri un anno, si rinnovi automaticamente per un ulteriore ultimo anno al termine del primo periodo d'incarico e, a seguito della seconda scadenza, cessi trascorsi due anni in totale.
A tal punto, l’amministratore in carica sarà obbligato ad ottenere un’espressa riconferma durante la prima assemblea ordinaria utile che si terrà al decorrere dei 2 anni di mandato.
Questa interpretazione presuppone due particolarità:
- nessuna ridiscussione della conferma al termine del primo anno di mandato, con il professionista non tenuto ad inserire all'odg tale argomento di discussione in assemblea;
- inevitabile entrata nel regime di prorogatio imperii della carica prima dell'assemblea in cui verrà discussa la conferma.
Proprio la seconda particolarità è la motivazione che fa propendere verso l'inesattezza dell'interpretazione.
Di conseguenza, si aprirebbero tre possibili scenari:
1) l’assemblea potrebbe votare favorevolmente per la conferma dell’amministratore in carica.
Il rinnovo dell’incarico equivale ad una nuova nomina, per cui è richiesto sempre il quorum deliberativo prescritto al IV comma art. 1136, nonché la comunicazione dei dati prescritti dall’art. 1129 II comma.
Una volta “rinominato”, l’amministratore resterà in carica per un anno, con rinnovo automatico del mandato per ulteriori 365 giorni. Passati di nuovo due anni, egli dovrà nuovamente sottoporsi al giudizio dell’assemblea, poiché sarà entrato in regime di prorogatio;
2) l’assemblea potrebbe decidere di non confermare l’amministratore.
Tale provvedimento è assimilabile alla revoca, per cui sarà sempre richiesto il quorum prescritto dall’art. 1136 IV comma. Contestualmente, si provvederà alla nomina di un nuovo amministratore, la cui carica durerà sempre un anno, con rinnovo automatico per un ulteriore anno a seguito della scadenza, con obbligo d'inserire la conferma all'odg solo dopo il secondo anno di mandato;
3) in caso di assenza di quorum costitutivo o deliberativi, sarà necessario rimandare la discussione relativa alla conferma alla prossima assemblea utile, con l’amministratore che conserverà la propria carica ancora in regime in regime di prorogatio imperii.
Riguardo al punto 1) sorge spontanea una domanda. Come detto, con questa prassi di attendere la seconda assemblea per discutere della riconferma, inevitabilmente si giunge alla prorogatio. Caratteristica della prorogatio è l'impossibilità di ricevere compenso. Perché un amministratore dovrebbe lavorare gratis - in quanto cessato - per tutto il periodo che intercorre tra la scadenza e l'assemblea successiva? Non sarebbe più logico farsi confermare l'anno prima, quando si è ancora in piena carica?
Quello di non discutere della conferma dopo il primo anno di nomina appare più come un escamotage per guadagnarsi un anno in più di mandato certo, a discapito di un'eventuale mancanza di fiducia. Una furba strumentalizzazione di una norma poco chiara.
Magari condita dal tentativo di mettere a conto del condominio anche il periodo in cui si presta l'attività in proroga dei poteri, per guadagnare il massimo e oltre.
Riguardo al punto 3), emerge un'altra criticità di questa corrente interpretativa: il condominio, seguendo questo schema, rimarrebbe per un periodo piuttosto lungo con un amministratore in prorogatio. Perché portare il condominio a un vuoto amminsitrativo del genere?
Se non bastassero gli interrogativi di cui sopra, richiamiamo anche la logica: se fosse sbagliata la prima corrente interpretativa e fosse giusta quella della durata dell'incarico biennale - senza appello per l'assemblea - allora per quale oscuro motivo il legislatore non ha semplicemente scritto che l'amministratore dura in carica due anni?
3) L'ultimo orientamento ritiene che l’incarico
dell’amministratore si rinnovi sempre tacitamente di anno in anno, quasi
come fosse un contratto di locazione.
In virtù di ciò, l’amministratore non
sarebbe tenuto ad inserire la discussione relativa alla propria conferma o
revoca all’ordine del giorno dell’assemblea ordinaria che è obbligato
annualmente a convocare per rendere conto della propria gestione.
Seguendo
questa corrente interpretativa dovranno essere i condòmini a richiedere la
revoca dell’amministratore, obbligandolo ad uno specifico odg tramite richiesta
formale proveniente da almeno 2 partecipanti che rappresentino 1/6 del valore
millesimale dell’edificio.
Inoltre, in caso di illeciti di fiscali,
gestione poco trasparente e manco utilizzo del c/c condominiale, la
richiesta può essere perpetrata anche
dal singolo condomino. Se tali casi non si dovessero verificare,
la richiesta del singolo condomino di aggiungere tale argomento all’ordine del
giorno non può essere reiteratamente
rifiutata, pena la possibile revoca giudiziaria.
In concreto,
tale teoria farebbe leva sulle varie concessioni aperte dal Codice Civile nei
confronti dei condòmini riguardo la possibilità di richiedere la convocazione
di un’assemblea con specifico odg.
Da un punto di vista legale l'assunto non presenta specifiche pecche, me resta molto machiavellico e ci pare abbastanza fantasioso, nonché al limite del dittatoriale.
Relativamente
alla conferma dell’amministratore, è fondamentale che venga sempre
analiticamente indicato il compenso dovuto al professionista. Senza indicazione
del compenso, la delibera di conferma sarà nulla.
Non è ammesso verbalizzare formule come ‘’al
compenso dell’anno scorso’’, l’offerta economica andrebbe sempre allegata
al verbale e il compenso dovrebbe rispettare il criterio di analiticità.
In ogni caso, nessun regolamento condominiale, anche se contrattuale, può derogare a quanto prescritto dal Codice Civile sul tema della durata dell’incarico. L’art. 1129, nella sua interezza, resta inderogabile.
Pertanto sono irrimediabilmente nulle fantasiose durate della carica inferiori all’anno (es: ‘l’amministratore decade automaticamente alla prima assemblea ordinaria, anche se non si è ancora compiuto l’anno di mandato’’ o pluriennali.